A volte ci emozioniamo. Possiamo essere bambini o adulti, ragazzi o ragazze, l’emozione scandisce il ritmo della nostra vita e può perfino prenderci senza preavviso. Ma che cosa significa emozionarsi? Cos’è che ci emoziona? Cosa succede quando siamo emozionati? E a cosa può servire?

Se prendiamo qualche istante per cercare l’etimologia della parola, un esercizio sempre particolarmente interessante, ecco cosa scopriamo: “emozione” arriva dal latino, motio: “movimento”. Ma cosa c’entra questo disordine interiore e intimo con l’idea di movimento e azione?
L’emozione è quella cosa che ci mette in moto, è ciò che ci fa muovere. È il tumulto interiore che ci obbliga a uscire da noi stessi per andare fuori, verso l’esterno, per incontrare il mondo e gli altri.
Inevitabilmente, la vita ci porta ad affrontare eventi inaspettati che provocano in noi piccole o grandi reazioni: separazioni, ricongiungimenti, complicità, dolori, amori a prima vista… Iniziare una giornata significa correre il rischio di emozionarsi. L’emozione ci impedisce di rimanere comodamente fermi nell’universo rassicurante che conosciamo. Ci fa prendere il rischio immenso di cambiare.

Sarah Moon – La Lionne du Kenya

Ma le emozioni nascono anche dall’incontro con le opere d’arte. Chi non ha mai tremato, riso di gusto, o è scoppiato in lacrime davanti a una storia, a un film, a una canzone? E che esperienza incredibile essere sopraffatti da note musicali, colori, immagini!
In un bellissimo libro che ci racconta la storia di una bambina profondamente colpita dalla visione del film Nanuk l’eschimese, Florence Seyvos scrive: «Immagina di trovarti fuori con qualcuno e sta piovendo. Siete entrambi bagnati. State condividendo la pioggia. Ma le gocce d’acqua che ti toccano non sono le stesse che toccano l’altra persona. Capisci cosa voglio dire? (…) Alla sera, quando andavo a letto, pensavo al film, nella sua custodia, sotto il mio letto. Mi sembrava di percepire migliaia di fili invisibili che connettevano il film, sotto il letto, con diversi luoghi della Terra. Nella mia testa i fili diventavano luminosi, brillavano. Arrivavano fino in America, in Giappone, nell’estremo nord. Eppure, nell’oscurità della mia camera, a pochi centimetri dalla mia testa, era ancora il mio film.»

L’emozione che proviamo davanti a un’opera d’arte è interamente nostra, intima, segreta e allo stesso tempo condivisa con altri. Leggere Cappuccetto Rosso significa avere paura del lupo, come migliaia di bambini prima di noi, fare questa esperienza straordinaria di scoprire un’emozione come se fosse la prima volta, come se fossimo noi i primi a tremare, piangere, ridere, come se l’emozione appartenesse interamente a noi. E tuttavia sapere che questa emozione è condivisa e universale, che è vissuta da tutti.
Anche andare al cinema è un po’ così. Condividere, in una comunità silenziosa, al buio, delle emozioni.

Qualcosa di misterioso circola tra le opere d’arte e noi che le contempliamo. Quando entriamo in contatto con esse, qualcosa in noi cambia. Perché? Che cosa c’è in gioco?
Un primo elemento di risposta è probabilmente riconoscersi nei personaggi che queste opere ci mettono davanti. I loro corpi, i loro gesti e i loro volti ci ricordano noi stessi. Nel tempo in cui siamo dentro l’opera, ci proiettiamo in loro. Questo è ciò che chiamiamo identificazione, il fatto di diventare per un momento il personaggio che stiamo osservando. E le sue avventure, che si trovino riassunte in un’immagine (in un dipinto, un’incisione o una fotografia…) o che abbiano il tempo di una storia (la letteratura, il teatro, il cinema…), sono un modo per noi di vedere il mondo sotto una luce nuova. Grazie a loro, ci vengono offerte migliaia di vite, migliaia di punti di vista che si schiudono all’improvviso, migliaia di modi di parlare, di muoversi, di pensare, di vivere. Essere di fronte a un personaggio significa diventare quel personaggio, diventare una madre, un padre, un bambino, un giornalista, un soldato, un dottore, un mostro. Diventare qualcun altro per qualche istante.

Grazie all’identificazione, abbiamo molte opportunità di scoprire e dominare le emozioni che ci attraversano e da cui a volte siamo sopraffatti, ma abbiamo anche la possibilità di comprendere gli altri. Se un film o un’opera visiva ci emoziona, ci muoviamo verso l’altro, aprendoci per capire il mondo che ci circonda. Sviluppiamo questa bellissima abilità che tutti portiamo dentro e che si chiama empatia. È l’empatia che permette di mettermi nei panni di un’altra persona, di essere triste quando qualcuno è triste, di ridere perché qualcuno sta ridendo davanti a me.

Sarah Moon – Villandry

Ma dobbiamo anche aggiungere un’altra cosa: se le emozioni che proviamo sono direttamente collegate alla nostra capacità di proiettarci nel cuore di un’opera attraverso personaggi che ameremo oppure odieremo, saranno generate anche grazie alla forma stessa di quest’opera.
A seconda di come una caduta è mostrata al cinema, a seconda del suo ritmo, della distanza con cui ci viene mostrata, possiamo ridere o piangere. Una unione di linee, colori, materiali, ritmi, suoni, movimenti… un’opera è sempre costituita da materiale messo in ordine in modo tale da produrre nello spettatore una sensazione, una singola emozione. Le storie certamente ci emozionano, ma possiamo anche essere toccati da emozioni puramente estetiche come ad esempio la bellezza o la bruttezza. Nella musica possono commuoverci le note, nel cinema può commuoverci il modo in cui è stata fatta una ripresa o un’inquadratura, la velocità di un movimento della macchina da presa.

Che l’opera sia figurativa o astratta, l’emozione è sempre lì, in agguato dietro una particolare vibrazione di un blu monocromo o dietro un paesaggio marino. L’emozione è il filo invisibile che ci connette a esseri o cose e che ci rende non solo individui isolati, ma un’umanità che condivide un mondo comune.