Il folle, nell’immaginario collettivo, è spesso legato alla figura del mostro. Privo della ragione che organizza il mondo normale, egli costruisce un universo personale dove governano le sue regole. Di conseguenza, il suo punto di vista non offre una rappresentazione della realtà come la conosciamo, ma ci conduce verso un luogo che potremmo chiamare “Ignoto”.

Arte e follia sono intrinsecamente legate e, quando si affronta questo argomento, gli esempi più spesso citati sono due: il folle come soggetto artistico e la follia dell’artista nella sua vita privata.
Tuttavia, è solo grazie all’avvento di una certa modernità che la follia viene riprodotta nel cuore dell’opera artistica.
Emerge quindi, insieme alla rappresentazione della follia, il problema della rappresentazione artistica della realtà, del nostro mondo quotidiano così come lo percepiamo. Il mondo deve essere una fedele riproduzione di ciò che percepiscono i nostri occhi oppure, al contrario, è preferibile una visione più personale, anche se confonde la realtà? Questa domanda diventa ancora più rilevante se riferita al contesto cinematografico.

Still from M – Fritz Lang (1931)

Quando nasce, alla fine del diciannovesimo secolo, l’unico obiettivo del cinema era quello di catturare la realtà. I suoi inventori, i fratelli Lumière, lo concepirono come un mezzo scientifico per trasmettere il sapere, la conoscenza e l’incredibile diversità del mondo attraverso le immagini in movimento.
Le prime grezze registrazioni che effettuarono riguardano scene di vita quotidiana (L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat o L’uscita dalle officine Lumière a Lione). E anche se a volte i Lumière provarono a mettere in scena un’azione (L’innaffiatore innaffiato o Battaglia con le palle di neve), la loro produzione rimane caratterizzata principalmente da filmati di paesaggi realizzati da loro stessi o dai loro collaboratori in tutto il mondo.

Grazie a Georges Méliès, che al contrario dei fratelli Lumière credeva nel destino artistico e commerciale di questa invenzione, il cinema acquisì la capacità di liberarsi da un’unica possibilità di rappresentare la realtà. Méliès fu infatti il primo a introdurre gli effetti speciali nel cinema. Raccontare una storia attraverso le immagini diventò il principale obiettivo dei primi cineasti. Naturalmente, apparvero delle regole per governare la costruzione di una storia e quindi si sviluppò un linguaggio cinematografico autonomo. Il cinema, una sintesi delle altre arti, godette inoltre dei contributi della letteratura e della pittura.

Nel corso degli anni, il modo di narrare si è perfezionato e ha sviluppato miriadi di opportunità estetiche e tematiche. Come nella pittura, il folle o l’istituzione psichiatrica (La fossa dei serpenti, 1948; Qualcuno volò sul nido del cuculo, 1975), così come la follia dell’atto creativo (Brama di vivere, 1956), sono state trasposte nei film. Spesso il tema della follia è stato prerogativa del cinema fantastico, un genere incline a favorire la rappresentazione di personaggi folli con intenti criminali (M – Il mostro di Düsseldorf, 1931; Shining, 1980). Rappresentare la follia sul grande schermo dipende certamente dalle qualità dell’attore che interpreta il ruolo. È infatti attraverso i suoi gesti, il suo modo di parlare, che le patologie mentali possono essere espresse per caratterizzare una mente turbata. Tuttavia, il linguaggio cinematografico offre altri mezzi per raggiungere questo obiettivo. Uno di questi è lo spazio.

Still from The Snake Pit – Anatole Litvak (1948)

Lo spazio può essere considerato come un elemento della scenografia, ma può essere anche inteso come un parametro importante nell’elaborazione tematica ed estetica di un film. Gestire lo spazio significa gestire un punto di vista. Studiare la rappresentazione dello spazio nel cinema attraverso il prisma della follia diventa importante nel momento in cui la narrazione del film si propone di seguire gli eventi dal punto di vista del folle. Dunque, non solo la recitazione dell’attore sarà essenziale, ma anche la rappresentazione nello spazio del suo mondo alterato.

Questo dossier propone un approccio specifico all’espressione della follia attraverso la rappresentazione dello spazio in due opere d’arte: un dipinto e un film. In che modo i due artisti Chaïm Soutine e Robert Wiene giocano con la follia nelle loro creazioni? Ecco il punto di partenza di questo confronto.