La realtà può essere magica? Se la risposta è sì, come? Ci sono molti modi di rispondere a questa domanda. Senza dubbio tanti quanti sono i modi di comprendere le parole “realtà” e “magia”. Nel mondo dell’arte, una delle possibili risposte è quella fornita dal realismo magico.

Loneliness – Paul Delvaux (1956)

L’espressione “realismo magico” fu usata per la prima volta negli anni ’20 dal critico d’arte tedesco Franz Roh. Coniò questa espressione per parlare di alcuni dipinti che aveva visto in una mostra a Mannheim, una città situata nel sud-ovest della Germania. Tra i pittori che nomina ci sono artisti che lasceranno il segno nel ventesimo secolo, come lo spagnolo Joan Miró, il tedesco Otto Dix e l’italiano Giorgio de Chirico, di cui parleremo in questo dossier. Per Franz Roh, la cosa che unisce questi pittori così diversi tra loro è la messa in discussione della cosiddetta realtà oggettiva. Una messa in discussione che non si limiterà all’arte pittorica, poiché coinvolgerà anche altri modi di espressione come la letteratura e, più tardi, il cinema.

A differenza delle grandi correnti artistiche del primo Novecento – come il surrealismo, il dadaismo, il futurismo… – il realismo magico non è un movimento strutturato con dei capifila, un programma, un manifesto. È forse questo il motivo che lo rende a volte difficile da comprendere. Per semplificare, si potrebbe dire che le opere generalmente associate al realismo magico mettono in discussione il mondo, cercando di creare una relazione diversa con la realtà. La “magia” del realismo magico è inoltre una magia familiare. È certamente strana, insolita, ma è sempre possibile. Se così non fosse, lascerebbe il posto al «terrore del fantastico o della follia.»Le réalisme magique, Cahiers des Avant-gardes, Éditions l’Âge d’Homme, 1987, p. 247. In altri termini, si tratta di una magia, una stranezza che «è nascosta nelle cose, nelle persone, nella luce o nell’ombra, o nelle relazioni che tutti questi elementi hanno tra loro, o anche in quelli che crea il nostro sguardo.»Ibidem.

È nella letteratura che il realismo magico troverà i suoi più celebri rappresentanti. Per fare un esempio, il romanzo Cent’anni di solitudine (1967) dello scrittore colombiano Gabriel García Márquez è considerato uno dei testi più importanti di questa corrente. Racconta, lungo diverse generazioni, la storia del villaggio immaginario di Macondo attraverso una serie di eventi straordinari (dei bambini che nascono con la coda di maiale, dei morti che tornano in vita…) ma in un contesto a tutti gli effetti quotidiano. Il libro illustra questa familiarità con ciò che è strano, l’inverosimile che diventa verosimile. Al di fuori dell’America Latina, dove il realismo magico ha segnato considerevolmente la letteratura, troviamo anche in Europa autori che sono spesso legati a questo movimento, come il francese Marcel Aymé, il belga Johan Daisne o l’italiano Dino Buzzati, solo per citarne alcuni.

Infine, come abbiamo già detto, il realismo magico è presente anche al cinema. In Belgio, la maggior parte dei film del regista André Delvaux (1926 – 2002) rientrano nel realismo magico. I suoi primi due film – L’uomo dai capelli a zero (1966) e Una sera, un treno (1968) – sono adattamenti di romanzi del suo compatriota Johan Daisne. Oggi un po’ trascurato, André Delvaux è stato uno dei primi cineasti belgi a essere riconosciuto a livello internazionale.

Il realismo magico è una corrente che fa riferimento a una grande varietà di autori e modi di espressione. Lo scopo di questo dossier non è ovviamente quello di fornire una definizione accademica di questa corrente artistica, ma più semplicemente vedere, esplorare – attraverso alcuni esempi come il film Toto le héros – Un eroe di fine millennio (1991) di Jaco Van Dormael e il dipinto Mistero e melanconia di una strada (1914) di Giorgio de Chirico – come la realtà e la magia possano incontrarsi e dialogare all’interno della stessa opera, che sia cinematografica o pittorica.